The Big Apple Dance

Storia di una "Grande Mela"

Quasi tutti voi l'hanno vista ballare in sala, e molti si precipitano al centro della pista non appena si riconosce il brano su cui scatenarsi: la Big Apple (dal nome ingannevole) è una dance routine tra le più conosciute dagli amanti del lindy hop, nonchè da migliaia di appassionati in tutto il mondo. Nonostante la documentazione a riguardo non sia così specifica, la sua nascita viene collocata nel South Carolina dei primi anni Trenta, quando la realtà statunitense era attraversata dalle diversità sociali traghettate dalla segregazione razziale; questo ballo, dunque, restò per qualche tempo tramandato all’interno della comunità afroamericana, ma come molte danze vernacolari dilagò presto negli States guadagnando popolarità.

 

1930, COLUMBIA, THE BIG APPLE CLUB. La leggenda narra che un gruppo di universitari americani, entrando in una vecchia sinagoga sconsacrata e convertita in un juke joint, si fossero fermati ad osservare dei ballerini afroamericani improvvisare decine di jazz steps. Confinati obbligatoriamente sulla balconata riservata ai bianchi del Big Apple Club, e riconoscendo in quei balli tantissime analogie con le danze in voga in quel tempo (come il Charleston), i giovani decisero di prendere spunto da un particolare stile di danza al quale avevano casualmente assistito: un ballo fatto di solo steps in cerchio che i ragazzi decisero di riprodurre. La danza Big Apple (che prese presumibilmente il nome dal club in cui era stata scoperta) divenne presto virale anche nella comunità bianca del South Carolina, e dalla sua versione più conosciuta nacque anche la piccola “Little Apple”, nella quale si ballava invece con un partner in senso circolare, usando i più comuni passi delle danze di quell’era.

 

VERSO NEW YORK. Nel 1937, una giovanissima Betty Wood vinse un contest di danza ballando la ormai celebre Big Apple, inaugurando così il viaggio di questa performance attraverso gli Stati Uniti: da un ingaggio all’altro, Betty e alcuni dei ragazzi di quel soppalco del juke joint si esibirono in svariate occasioni, fino a giungere a New York, attirando l’attenzione di nomi importanti. Un intraprendente Arthur Murray, insegnante e proprietario di decine di scuole di ballo nell’"originale" Grande Mela, introdusse corsi di Big Apple ovunque aprendo diversi franchinsing, e contribuendo ad aumentare la propria fama, tutt’oggi internazionale.

 

 

LA BIG APPLE DEI WHITEY’S.Whitey”, manager del famoso gruppo di ballerini Whitey’s Lindy Hoppers, si trovò come altri sulla strada della Big Apple, e chiese a Frankie Manning, coreografo e componente della crew, di crearne una per il gruppo.

"I remember my grandmother putting me in that circle…"

Frankie non aveva ma visto la Big Apple, ma si ricordò presto delle estati trascorse in una fattoria del South Carolina quand’era bambino, dove i lavoratori di colore cantavano e battevano le mani in cerchio, danzando in senso antiorario e improvvisando in quello che veniva chiamato il “ring shout”.

"Whitey asked me to make up a big apple routine for the Lindy hoppers, so I got to work. At first, as I read the letter and tried visualizing the movements, I thought, "What the hell is he talking about?" Then I began playing some music and actually doing the steps. I used Count Basie's "John's Idea," initially, but then I switched to "One O'Clock Jump" because it was a little slower and more swinging" 

(Frankie Manning).

Mancavano solo i passi di danza, e creando delle sequenze con diversi steps di authentic jazz, Frankie coreografò una Big Apple che venne presto ballata ogni sabato sera al Savoy Ballroom di Harlem, pur essendo sempre un po’ diversa. La routine che oggi è più comune a tutti noi apparve nella pellicola del 1939 “Keep Punching”, nella quale dei sincronizzati Whitey’s Lindy Hoppers si esibiscono nella versione creata da Manning.

 

 

LA FAMA INTERNAZIONALE. Come riportano alcuni articoli del web, la Big Apple divenne talmente famosa da trasformarsi in un fenomeno culturale vero e proprio: il magazine LIFE dedicò a questo ballo un intero servizio fotografico nel ‘37, mentre fuori da alcuni club si affiggeva il cartello: “Sorry No Big Apple. Not Enough Room”. Questo ballo divenne così celebre che si narra fosse conosciuto persino da Winston Churchill. Purtroppo, come molte volte è accaduto, la perdita di interesse e il divulgarsi di altri balli vernacolari, fecero calare il sipario su questa danza che aveva letteralmente fatto impazzire il mondo intero. Per fortuna, negli anni ’80, il riemergere della curiosità per le danze afroamericane ha riacceso la voglia di conoscere la Big Apple, riportata in auge e tutt’ora conosciuta da migliaia di amanti dello swing.

Oltre ad essere una famosissima routine, la Big Apple è tra i più completi esempi di divulgazione di cultura: da una parte quella delle danze afroamericane, dall’altra un insieme molto più ampio di contaminazioni, interpretazioni, racconti, stili di ballo, che contribuiscono a creare un sapere ancora più ampio e condiviso, rispetto a quello di una comunità etnica. È il sapere “dell’umanità”, che cresce, muta e si esprime anche con il variegato -ma universale- linguaggio della danza.

Perciò, cari appassionati, ogni volta che vi capita di ballare in pista questa ormai centenaria Big Apple, sentitevi orgogliosi di far parte di una lunga, famosa, avvincente storia.

 

 

Samanta (Fosca)

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